Speciale Giornata internazionale contro l'omofobia, la bifobia e la transfobia. Un'intervista alla regista Monika Treut e poi di parliamo pinkwashing
Buongiorno,
oggi è la Giornata internazionale contro l'omofobia, la bifobia e la transfobia ( IDAHOBIT ) e vorrei celebrarla anche cinematograficamente, ripubblicando una mia intervista del settembre 2014 non più disponibile on line (perché purtroppo la testata Lezpop ha chiuso i battenti) fatta ad un’icona della comunità queer, ossia la regista lesbica Monika Treut. Perché è bene rimarcare, ora che si discute animatamente il ddl Zan, che le donne lesbiche sono al fianco delle donne trans, salvo qualche eccezione che disgraziatamente trova posto nei media mainstream.
E facciamola questa premessa: se qualche persona trans-escludente, come è già successo anche in maniera piuttosto sonora, abbandona Cineaste perché non è d’accordo, tanto meglio: non mi mancherà.
Questa scelta di campo vale anche per il gruppo Facebook di Cineaste. Dove, per restare in tema, questa settimana si è parlato del fatto che l’uscita di Una donna promettente di Emerald Fennel è stata rinviata per via di un epic fail: la scelta iniziale di far doppiare una personaggia - l’attrice trans Laverne Cox - a un uomo. Ma le donne trans sono donne, e ci sono state quindi molte proteste, tra cui quella dell’attrice trans Vittoria Schisano sul Guardian. Il film infine verrà doppiato di nuovo, questa volta con una doppiatrice.
Sul gruppo Cineaste le mie amiche Maddalena e Antonella scrivono che non è questo l’unico aspetto del film di cui dibattere. Madda [🧡 ] dice: “Un film che prometteva bene e mi ha delusa tantissimo. Il trailer ha un ritmo che lascia presagire un film completamente diverso. Il plot è interessante, ma la narrazione è appiattita su standard da serie tv adolescenziali (che a me piacciono, ma alla tv e non al cinema). L'attrice è fuori parte. Salvo solo i costumi, non c'è un solo look che non rimanga impresso, ma sono come istantanee che non riescono a prendere vita nella narrazione. Quando ho saputo che era candidato agli Oscar ho pensato ad un bel pinkwashing, del tipo, "famole contente". Anto [🧡 ] risponde: “A me di Promising Young Woman ha infastidito l'ennesima invisibilizzazione della vittima (che è parte di un femminismo che "parla al posto di" e non mi piace: non solo perché è morta, ma proprio perché viene fatta esistere solo nello sguardo altrui). Quello che Maddalena individua come "standard da serie adolescenziale" è per me la mancata profondità della sceneggiatura: non c'è nulla, ma zero proprio, in questo film che richiami "class" o "race": tutti I rapporti di forza sono basati su "gender", ci si immerge in una sorta di acquario di bougie whiteness e male privilege. Il mondo (e la prospettiva femminista) è un pochino più complessa di così, o no? Laverne Cox (bella e brava) è il tocco di tokenism che completa il quadro.”
Un’altra segnalazione arriva dalla videoartista Alberta Pellacani: dal 17 al 22 maggio si può vedere una riduzione dello spettacolo di teatro, musica e video legato al suo cortometraggio Nevi.Metamorfosi46, sul tema della verità. Lo spettacolo è dedicato alla vita e all’opera di Virginia Woolf e Jan Morris. Gratis su Facebook e Youtube Città di Carpi.
Prima di passare all’intervista a Monika Treut, ecco alcuni film a tematica lgbt+ che si possono vedere su Raiplay, gratis: 3 Generations – Una famiglia quasi perfetta di Gaby Dellal (qui una mia recensione), Io sono Sofia di Silvia Luzi, Inside the Chinese Closet di Sophia Luvara , Nata Femmena di Elisabetta Rasicci e Pasquale Formicola, e la puntata de Il corpo dell'amore su Giuseppe Varchetta, attivista gay e disabile.
Sono film e programmi già andanti in onda, che rappresentano piccoli passi avanti - affatto sufficienti - rispetto al passato. Non dimentichiamo che la Rai censurò due volte I segreti di Brokeback Mountain. Del film di Ang Lee, vincitore di tre Oscar e basato su un racconto di Annie Proulx, censurò (su Rai2) le scene di sesso, rendendolo incomprensibile. Era il 2008. In seguito ha mandato in onda una versione senza tagli, ma nel 2010 il film mandato su Rai Movie era ancora quello così stupidamente censurato la prima volta.
INTERVISTA ALLA REGISTA MONIKA TREUT
Chiara Zanini: Monika Treut è una regista tedesca che ha lavorato soprattutto negli Stati Uniti. Il suo Of girls and horses sarà proiettato al festival Some Prefer Cake di Bologna dopo essere passato al Mix di Milano e al Torino Glbt Film Festival. Per quanto questa definizione possa non piacere ad alcune, Treut è forse la regista dichiaratamente lesbica più famosa al mondo. Abbiamo chiacchierato del suo percorso partendo dagli esordi, ossia da quando la sua tesi di dottorato su De Sade e Sacher-Masoch ha offerto lo spunto per Seduction (1985), ispirato a Venere in pelliccia, di cui i giornali hanno parlato prima ancora che iniziassero le riprese. Con Elfi Mikesh (vincitrice del Teddy Award l’anno scorso) ha fondato una propria casa di produzione chiamata Hyena Films. Dice di essere diventata regista per caso perché a Marburg, la cittadina in cui ha studiato, non c’era altro da fare che appassionarsi ai film. Il critico Richard Dyer non ha esitato ad accostarla a Fassbinder, uno tra i suoi registi preferiti insieme a Kenneth Anger, Maya Deren e Billy Wilder.
Monika Treut: Trent’anni fa non c’erano festival queer - tranne a Los Angeles, San Francisco e New York - e in Germania era piuttosto inusuale che una coppia lesbica dichiarata scrivesse, dirigesse e producesse un film popolato non solo da sole donne lesbiche e bisessuali, ma anche in grado di raccontare fantasie sadomaso, e soprattutto con una dominatrice carismatica come protagonista. Seduction era in anticipo sui tempi, e noi come filmakers eravamo talmente assorbite dalla realizzazione del film da sottovalutare il disorientamento di pubblico, stampa, distributori e programmatori delle sale cinematografiche. Eravamo appena uscite dalla sala di montaggio quando ci siamo trovate nel mezzo della polemica alla prima del film al Festival di Berlino. Con il tempo è diventato un piccolo cult, ma quando uscì furono in pochi ad apprezzarlo.
[…] Per quanto riguarda l’accostamento a Fassbinder, molti suoi film sono ancora tra i miei preferiti - se il paragone vuole essere un complimento, dato che c’è un’enorme differenza. Fassbinder fece film bellissimi in cui troviamo temi come la repressione, l’alienazione, la prostituzione, le dinamiche di potere tra i generi ma anche tra persone dello stessa condizione sociale, come in Querelle de Brest. Inutile dire che la sua opera è ineguagliabile.
CZ: Sei stata definita la più prolifica regista lesbica / camp / icona del cinema queer / controversa / femminista / postqueer e così via. Trovi che queste etichette sminuiscano il tuo lavoro?
MT: Naturalmente preferirei l’etichetta di buona filmaker, ma credo che le etichette facciano parte del gioco.
CZ: Negli anni Ottanta il pubblico ti chiedeva di mettere in scena l’amore tra donne e tu al pubblico offrivi eroine, spogliarelliste, prostitute, donne promiscue, triangoli, corpi ibridi che non si vogliono definire, dominatrici, persone che praticano bdsm.. Più in generale, trovi che il movimento lgbtqi oggi sia focalizzato sui diritti delle coppie più che su quelli dei singoli, diritti sessuali compresi?
MT: Capisco le richieste di uguaglianza e simpatizzo con queste lotte. Nel mio cuore romantico sento la mancanza dei fuorilegge, dei rivoluzionari, dell’estetica camp e dell’affermazione della differenza rispetto al mainstream. Ma dobbiamo riconoscere che vale per le lesbiche quello che vale per gli altri gruppi sociali: ci sono outsiders coraggiose così come professioniste molto inquadrate. Ci sono persone di qualsiasi condizione sociale.
CZ: Ora, anno 2014, presenti un film come Of girls and horses che è una sorta di romanzo di formazione: sei stanca di raccontare i tabù?
MT: Of girls and horses è stato ispirato dalla mia storia personale: da adolescente trascorrevo il tempo libero in una scuderia, occupandomi dei cavalli e della stalla e correndo con loro. Tutto questo circondata da ragazze simili a me. Crescendo ci supportavamo l’un l’altra. Quando poi ho scoperto questa fattoria nel nord della Germania, ho avuto dei flash di quelle immagini e ho voluto subito tratteggiare quell’ambiente calmo e popolato da animali bellissimi. Girando film in ambienti urbani avevo perso il contatto con la natura. Dev’essere un segnale della vecchiaia ripensare ai ricordi di gioventù.
CZ: A Niebuell, il comune in cui avete girato, avete sperimentato inizialmente una certa omofobia, ma so che quando avete organizzato una proiezione riservata agli abitanti della zona vi sono sembrati più tolleranti.
MT: Esatto. Avevamo capito piuttosto presto che i contadini, come molti contadini che sono allevatori di animali, erano ueber, eterosessuali che facevano battute sessiste di continuo. Sono rimasti scioccati quando – verso la fine delle riprese, per fortuna – hanno scoperto che la maggior parte della nostra troupe era queer e che il soggetto del film aveva sfumature queer. Prima di allora non avevano conosciuto persone queer o non se ne erano mai accorti. Ma fortunatamente gli siamo piaciuti e penso sia importante aver mostrato il film a loro prima che a chiunque altro. Abbiamo affittato un vecchio cinema di campagna nei dintorni e proiettato solo per loro e per la loro numerosa famiglia. Il film gli è piaciuto e dopo una chiaccherata educativa sugli stili di vita queer si sono aperti di più. Di recente hanno suggerito di girare una seguito del film nella loro fattoria con protagonisti gay.
CZ: In Virgin machine c’erano donne che avevi incontrato al Lesbian and Gay Film Festival di San Francisco. Hai fatto anche parte di un gruppo separatista per un periodo. Qual è il tuo rapporto con la comunità lesbica ora?
MT: Data l’età adesso mi è più facile interagire con i gruppi e sono entrata in stretto contatto con la comunità lesbica della mia città natale, Amburgo, dove recentemente ho supervisionato un lungometraggio diretto da filmakers lesbiche per i 25 anni del Festival internazionale di cinema queer. Il titolo è Acting Out e le autrici sono Ana Grillo, Christina Magdalinou e Silvia Torneden. Non perdetevelo!
CZ: In My Father Is Coming la protagonista Vicky non vuole fare coming out. Succede anche nel mondo del cinema? Non abbiamo assistito ad oggi a molti coming out di donne, eppure ci sono festival queer molti frequentati. Cosa diresti ad una cineasta che si nasconde?
MT: È difficile dare consigli di questo tipo, dipende dalla situazione di ognuna. Ma credo che oggi, almeno nell’Europa Occidentale, non sia più un gran problema.
CZ: Hai dichiarato tempo fa che opporsi totalmente alla pornografia e ripetere che le donne sono sempre vittime, anche nelle arti, è un errore. E che il femminismo sa essere inutilmente moralista e censorio. Negli ultimi anni alcune donne hanno tentato di riscrivere il porno. Dirty daires è stato un successo non solo in Svezia, mentre in Italia c’è un gruppo di filmakers conosciute come Le ragazze del porno, giusto per fare due esempi. Cosa diresti loro?
MT: La stessa cosa che vale per chiunque faccia film: segui l’istinto e non lasciarti intimidire da quello che senti dire.
CZ: L’Enciclopedia queer edita da Routledge ha individuato nel cinema queer un sottogenere chiamato bar scene. Ce n’è una anche ne La vie d'adele. L’hai visto? Cosa ne pensi?
MT: Non ci crederai ma non l’ho ancora visto, stavo montando il film quando è uscito in Germania e quando sono impegnata con il montaggio non guardo film. Lo vedrò in dvd.
CZ: Hai dato voce a persone che hanno qualcosa di interessante da dire, e spesso era qualcosa di scomodo. Da Annie Sprinkle a Camille Paglia passando per molta gente comune. Hida Viloria, protagonista di Gendernauts, adesso è un riferimento nella comunità intersessuale. E dagli anni novanta hai tenuto lezioni nelle scuole e nelle università, mentre in Italia gli atenei che ammettono gli studi di genere sono pochissimi. Cosa comporta parlare di tutto questo alle nuove generazioni, a giovani che in alcuni casi diventeranno appassionati e magari critici di cinema?
MT: È bello poter ampliare l’orizzonte degli studenti. Ho insegnato negli Stati Uniti, e lì i giovani sono più che altrove influenzati dal cinema mainstream. Avvicinarli ad un cinema più “impegnativo” può dare buoni frutti.
CZ: Che ruolo possono avere i/le filmakers nella promozione dei diritti umani?
MT: Domanda complessa! Dipende dal paese, dalla cultura, dalle circostanze. Le proiezioni e gli incontri più gratificanti che ho avuto finora sono state in paesi come India, Turchia e Taiwan, dove il ruolo della donna nella società sta cambiando e il pubblico femminile e queer è molto partecipe.
CZ: È vero che dirigerai il seguito di Gendernauts a vent’anni di distanza?
MT: Mi piacerebbe molto. Sono ancora in contatto con i protagonisti e trovo affascinanti i loro percorsi. Inoltre non c’è ad oggi molto materiale a proposito dell’invecchiamento delle persone transessuali e sui problemi che lo caratterizzano. Potrebbe non essere facile trovare finanziamenti per farlo, perché c’è molta discriminazione nei confronti degli anziani nel mondo del cinema.
CZ: Hai seguito la campagna “Woman against feminism” / I don’t need feminism?
MT: Non seguo campagne anti-femministe.
CZ: Puoi parlarci del tuo documentario Zona Norte, seguito di Warrior of Light del 2001, a proposito degli attivisti che a Rio de Janeiro combattono le conseguenze dei megaeventi sportivi?
MT: È un documentario in più parti, stiamo montando la prima. Mi sono concentrata sui protagonisti di Warrior of light, che all’epoca erano ragazzini. La maggior parte sono stati ragazzi di strada a Rio. Li ho ritrovati e insieme scopriamo come sono diventati adulti e cosa fanno ora. La seconda parte del documentario sarà sull’attività dell’ong Uere nelle favelas di Maré, e sulla gentrificazione della città.
CZ: Ho letto in una vecchia intervista che Il portiere di notte è uno dei tuoi film preferiti e che ti piacerebbe conoscere Liliana Cavani. Nel frattempo ci sei riuscita?
MT: Sfortunatamente no. Puoi aiutarmi?
Segnalo inoltre il podcast Reno, 1959 di Federica Fabbiani, la maggiore esperta di cinema lesbico in Italia. Lei lo presenta così: “Il lesbismo ha assunto in questi anni una rilevanza senza precedenti sugli schermi mainstream occidentali. Non più fantasma, vampira, psicopatica, utile solo a confermare l’eterosessualità della protagonista, la lesbica ha raggiunto nuovi regni del visibile difficili da ipotizzare fino a dieci/venti anni fa.” Non vi anticipo altro, se non che è uno dei miei podcast preferiti e che ascolterei Federica anche se parlasse di cibo - che è proprio una cosa che di solito mi annoia mortalmente.
Qui è quando Federica ha presentato Ritratto della giovane in fiamme con la regista Céline Sciamma a Bologna, insieme alle amiche del Festival Some Prefer Cake.
Infine, dato che si torna a parlare di Palestina le bombe sui civili e sugli organi di stampa, un articolo del Morning Star che racconta il fenomeno del pinkwashing.
Finalmente nel novembre 2020 più di 170 cineasti queer si sono impegnati a non partecipare al TLVFest, il festival cinematografico LGBT sponsorizzato dal governo israeliano. Diciannove partecipanti al TLVFest 2020 si sono ritirati, inclusi otto registi brasiliani. Docaviv - il Tel Aviv International Documentary Film Festival 2020, che ha come partner ministeri del governo israeliano, è stato anche scosso da quattro annullamenti da parte di registi e ospiti internazionali. [Fonte: questo articolo di BDS Italia sulle vittorie ottenute boicottando Israele]
Buona notizia anche perché, come dimostra questa intervista che feci a Shira Geffen, anche tra gli artisti israeliani pro-Palestina e friendly troviamo chi non è ancora consapevole della gravità del pinkwashing.
Appuntamento a domani con una newsletter curata eccezionalmente da Carlo Griseri, critico e giornalista, che mi sostituisce per via di alcuni impegni. Carlo è direttore di Seeyousound Torino Music Film Festival, ideatore e curatore dell'Agenda del Cinema a Torino, vicepresidente e redattore di Cinemaitaliano.info, non si perde un’uscita di Cineaste e sarà un piacere leggerlo, garantisco.
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Grazie,
Chiara
Stay safe!
Chiara